Storia e architettura


STORIA


La Cappella Gandini è una chiesetta del primo Settecento in stile palladiano, consacrata a Santa Maria della Maternità. Sorge dietro a un'attraente villa d'epoca napoleonica nella zona nordorientale della città di Padova, nota come Montà, sui resti di un'antica strada romana che si estendeva da Ponte Molino fino a Marostica e le colline pedemontane delle prealpi venete: la “Strada della Lana”, così denominata perché adibita principalmente al trasporto di lana di pecora in grandi quantità, e che poi veniva lavata e lavorata fino a produrre, fra l’altro, le ingenti riserve di feltro necessarie a foggiare i pettorali delle legioni imperiali.

Originariamente di proprietà della famiglia Lonigo e successivamente di Luigi Basso (la cui sepoltura è segnalata da una lapide nel terreno retrostante la chiesetta), la cappella fu acquistata nel 1939 dalla famiglia Gandini, che ne è la proprietaria a tutt'oggi. Nel 1985, Luigi Attardi, la cui madre era una Gandini, fece la conoscenza a New York dell'artista statunitense Jack Sal; dall’incontro nacque l’idea di rifare l'interno della cappella in stile e spirito contemporanei: per Attardi, che aveva trascorso molte estati della sua infanzia e adolescenza nella città della Cappella degli Scrovegni e di Giotto, e dunque goduto del privilegio di conoscerla a fondo durante i suoi anni formativi, l'idea di far dipingere la cappella di famiglia da un serio artista contemporaneo sembrava ricca di allettanti prospettive. E, siccome gli altri membri della famiglia Gandini non vi si opponevano in alcun modo, nel 1986 Sal procedette a realizzare il suo progetto.

Come appare evidente anche a un primo sguardo, il risultato è un opera che va ben al di là di una mera “decorazione” dell'interno della cappella. Infatti, il risultato dell'intervento di Sal travalica l'impiego pionieristico di una “iconografia” non-figurale, astratta ed espressionistica per adornare un luogo di culto cristiano. Il simbolismo inerente ai colori che egli scelse (vedi la sezione "Opera di Jack Sal" per una spiegazione dettagliata), l'enfasi con la quale li usò per evidenziare gli elementi decorativi architettonici e contrastare quelli scultorei, la tangibile materialità dei segni che egli tracciò sulle pareti impregnate di buon fresco, il loro carattere e la loro forza manifestamente gestuale, danno luogo congiuntamente a un'opera d'arte che non solo procede in parallelo con i vari elementi dell'edificio ma ne rinnova il significato religioso e si fonde con loro fino a costituire un concetto interamente nuovo e una nuova realtà.

Sin dall'inizio, l'impresa artistica di Sal è stata primariamente concettuale in natura, nel senso che il concetto o l'idea “dietro” alle sue opere – cioè operante nella preparazione del loro progetto – sono stati prioritari rispetto alle considerazioni estetiche e materiali che la loro attuazione avrebbe poi potuto o no comportare. E, in un modo che risulta in linea con tale approccio, tutti gli elementi del suo intervento alla Cappella Gandini avrebbero potuto essere svolti da chiunque fosse stato dotato di un protocollo sufficientemente preciso sul cosa fare e come farlo. Come tali, tutti gli elementi diventano proiezioni di possibili azioni da parte dell'osservatore, il quale diventa in un certo senso corresponsabile dell'opera e degli effetti che essa provoca su di lui – e sugli altri.

L'idea dietro alla cappella, e alla quale Sal chiama gli osservatori a partecipare e condividerne la responsabilità, non è semplice né “rosea”: la violenza e “l'imbarazzo” rosso-sangue della Natura e le azioni, nere come la pece, dell'Uomo si stemperano solo nella incontaminata purezza delle sculture e nell'azzurra serenità dei Cieli che tutti gli elementi esaltano e fanno sì che risulti necessario volgere lo sguardo verso l'alto. Allo stesso modo, i quattordici piccoli quadri appesi dietro all'altare a rappresentazione delle Stazioni della Croce, eseguiti nello stesso stile non-figurale dell'insieme, inducono l'osservatore a scoprire o riscoprire il significato della Passione di Cristo.

La Cappella Gandini/Sal agisce, dunque, come uno specchio nel quale pellegrini, sia religiosi che laici, possono guardarsi dritto in faccia e nel profondo degli occhi, per poi, sperabilmente, comportarsi di conseguenza.


ARCHITETTURA

L'edificio rappresenta l'oratorio della vicina villa; di contenute dimensioni destinato alla preghiera e al culto privato. Gli oratori ebbero grande diffusione a partire dal XVII secolo in seguito alla controriforma cattolica, l'impianto originario di questo oratorio dovrebbe essere databile al 1723 (vedi seguito). L'edificio votivo in oggetto è orientato sull'asse nord-sud, con due accessi, l'accesso principale dei credenti posto sul lato nord da via Due Palazzi, mentre sul lato sud è posto altro portoncino che si apre dietro l'altare.

L'involucro esterno dimostra che il disegno della facciata è stato concepito a rafforzare l'impostazione a pianta centrale; infatti gli elementi architettonici decorativi sono impiegati similarmente in tutti i fronti dell'edificio, ne è una riprova la presenza di finte porte sui fronti est ed ovest. Nello specifico i fronti sono caratterizzati dall'utilizzo di elementi decorativi di fonte classica, ma impiegati secondo canoni manieristici; si riscontra infatti la presenza di lesene di ordine gigante binate, coronate da capitelli con volute in stile ionico, realizzati in cotto, a sostenere un cornicione interrotto per fare spazio alle quattro aperture ad arco, uniche fonti di luce naturale, poste al centro delle quattro facciate principali. Il coronamento superiore della facciate è un timpano triangolare; ne sono presenti quattro quanti sono i lati lunghi del poligono di base. Di particolare interesse le fi gure presenti sui capitelli delle lesene, comprese tra le volute: si tratta prevalentemente di formelle inscrivibili in quadrati di dieci centimetri circa, floreali e zoomorfe ad eccezione di due che raffigurano una testa umana ed una che riporta la cifra 1723 e due lettere “F E”. 

Planimetricamente l'edificio presenta una tipologia a pianta centrale che si compone di un corpo principale, costituito da una sala a pianta ottagonale, sovrastata da una volta a crociera, e di una piccola zona absidale, sopraelevata di un gradino e collocata alla stessa quota dell'altare, come richiesto dai canoni religiosi cattolici.

L'altare è collocato in modo da creare un fronte scultoreo che separa spazialmente la sala ottagonale accessibile ai credenti dall'abside, risultante un vero e proprio “retro” privato al cappellano officiante le messe. Infatti esso occupa un intero lato dell'ottagono, componendosi di due portali laterali e di un blocco centrale coronato da uno splendido trittico marmoreo.

Le tre statue di marmo, quella centrale raffigurante la Madonna con Bambino e ai due lati Sant'Antonio e San Daniele, ricordano i modi scultori di Antonio Bonazza, la personalità di spicco dell'omonima famiglia veneziana che dominò la scena della scultura padovana nel secolo XVIII. 

L'altare è di tipologia a blocco, costituito da un basamento marmoreo, il cui paliotto è realizzato con marmi a taglio geometrico di diversa cromia; sui fianchi sono posti due portali in pietra di cui uno funge da passaggio mentre l'altro è stato destinato a confessionale.

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